*** Prologue
***
Agosto 2016
Cosa si dovrebbe provare quando una persona che ha fatto parte della tua vita per così tanti anni, a cui hai voluto bene, si toglie la vita?
Non lo sapevo. Non
ne avevo idea. Non sapevo cosa dovessi provare.
Rabbia?
Frustrazione? Delusione? Dolore?
In quel momento,
mentre fissavo la bara bianca attorniata da fiori, mi sentii un
guscio vuoto, un involucro di quella che ero stata.
Di quelli che
eravamo stati.
Avresti potuto
salvarlo, pensai. Avresti potuto salvarlo ma non lo hai fatto.
Egoista. Ecco quello che sei, una stronza egoista.
Era morto mentre
io ero ai Caraibi e mi riempivo lo stomaco di rum e gamberoni alla
griglia.
Lui faceva un
cappio a una corda e io bevevo.
Lui legava la
corda alla trave del soffitto e io mangiavo.
Lui infilava la
testa nel cappio e io ridevo.
Lui si lasciava
cadere e io non pensavo a lui.
Era morto, morto,
morto.
Morto.
Pensai di avere
un'accoglienza diversa dalla signora Simpson. Non di certo quello
sguardo che avrebbe potuto gelare l'inferno e quelle parole:
"Avresti potuto aiutarlo! Dovevi farlo, Miranda, eri sua amica!
Sei un'egoista!"
E io ero rimasta
zitta, in silenzio, quando avrei potuto risponderle. Dov'era,
signora Simpson, mentre suo figlio buttava giù antidepressivi,
pasticche fatte di chissà quale merda? Dov'eri mentre ti svuotava
l'armadietto dei medicinali e il mobile-bar?
Ma tacqui, non
replicai. Non era il momento.
Mi guardai
attorno, fissando i presenti: i nostri familiari, ex-compagni del
liceo, il preside, il corpo docente, il sindaco, il capo della
polizia.
Il parroco
pronunciò discorsi triti e ritriti, si capiva che lui non lo
conosceva bene. In effetti non ci aveva mai parlato con lui.
Signora
Simpson, lo sa che suo figlio è ateo da quando ha quindici anni?
Lo sapeva, eppure
non aveva rispettato questo desiderio, quello di avere un funerale
laico. Fissai distrattamente la banda comunale. La banda comunale.
Che idiozia. Lui non avrebbe voluto questo.
Lui.
Miranda, perché
non usi il suo nome? Perché usi un generico “Lui”? Dillo,
avanti. Non è difficile, hai pronunciato quel nome tante di quelle
volte...
Il parroco cianciò
di mali nel mondo, di peccati, di argomenti che non c'entravano nulla
con lui.
Spostai lo
sguardo, posandolo per pochi istanti sui presenti e arrivai a lei:
Dorothea. La stronza vipera puttana per eccellenza. Piangeva,
singhiozzando al braccio di suo padre. Stronzo come lei, se non di
più.
La cara Dora
piangeva, come se le fosse mai importato qualcosa oltre se stessa.
Come se lo avesse amato sul serio. Lei non amava nessuno tranne se
stessa.
Eh, Dora?
Piangi solo perché ci sono le telecamere, vero? Altrimenti non
saresti neppure qui.
Sentii il mio
ragazzo stringermi la mano con forza e lo guardai. Lui abbozzò un
sorriso e io tornai a fissare il vuoto davanti a me. Quando Jason —
il nostro manager — mi aveva chiamato, urlandomi di tornare
immediatamente a Boston perché era successo un casino, mi ero
arrabbiata. Ero incazzata nera perché sarei dovuta tornare a Boston
per una qualche stronzata combinata da uno di noi. Ti sbagliavi,
Miranda. Credevo fosse un'altra riabilitazione di uno di noi.
E invece la realtà
era peggiore di qualsiasi mia idea.
Neanche il tempo
di uscire dal Boston-Logan International Airport ed ecco che arrivò
un giornalista che mi domandò come avessi preso il suicidio di...
Scossi la testa e
continuai a guardarmi attorno, fissando persone che non vedevo da
anni.
Ipocriti,
pensai, non credevate in noi, ci prendavate sempre in giro, anche
quando abbiamo iniziato ad avere successo e ora... inspirai a
fondo, reprimendo la rabbia, e ora siete qui, a fare gli amiconi
disperati di 'sto cazzo.
Per un istante, un
singolo momento incrociai gli occhi di lui, di un'altra delle
persone più importati della mia vita. Era lontano da Dorothea, come
se la sola vicinanza potesse fargli del male. Lo fissai, guardando
il suo profilo, i suoi occhi che fissavano tutto e niente. Il mio
ragazzo mi strinse la mano con forza e lo guardai, ma lui aveva
smesso di fissarmi, anche se nei suoi occhi lampeggiava una rabbia
appena accennata. Dopo tutto questo tempo ti stupisci perché non
si sopportano? Sveglia, Miranda, è così da anni e sarà sempre
così.
Il funerale
proseguì e guardai la bara attorniata da fiori. Lui era quello che
non era mai riuscito ad abituarsi al successo, ai concerti uno dietro
l'altro, alle ospitate televisive, ai red carpet, alle premiazioni...
Era semplice, lui, forse persino troppo, *tu ti sei abituata in
fretta alla fama e alla gloria, lui ha faticato, ha cercato di non
farsi inghiottire da quella macchina infernale che è lo
star-system... ma è affogato lo stesso. E tu, Miranda, non hai fatto
nulla per impedire che precipitasse in quel buco nero da cui non è
mai risalito.
Ma come potevo
aiutarlo se anche io avevo dei problemi? Come?
Non potevo.
O forse non
volevo.
Eravamo nella Hall
of Memories, proprio accanto al cimitero, per il rinfresco. C'era
troppa gente, troppe persone, troppe fotocamere pronte a immortalare
ogni singolo gesto. È un funerale, cazzo, pensai bevendo un
sorso di vino bianco, non è un after party dopo una cerimonia di
premiazione.
Tutto ciò mi ricordava un circo a tre piste, troppa
gente che non doveva esserci... sì, mia cara Dora, parlo proprio
di te, individui che si atteggiavano, che dicevano alla signora
Simpson belle parole riguardo al figlio, non lo conoscevate,
idioti, pensai, io lo conosco da quindici anni, è uno dei
miei migliori amici e ho passato gli ultimi sette anni accanto a
lui, praticamente ogni singolo giorno, non voi, idioti.
Mi allontanai ed
entrai nell'antibagno e fissai le due file di lavandini di ceramica
bianca, contornati da marmo italiano. Volevo uscire, scappare da
quel posto, andarmene lontano e sparire.
Mi bloccai quando
la porta del bagno degli uomini si aprì e lui ne uscì. Mi fissò,
sorpreso.
«Ciao.» mugugnò
e si diresse a uno dei lavandini. «Mi dispiace.» disse.
«Grazie.»
sospirai, troppo stanca per dire qualcosa di più.
«Era anche mio
amico.» replicò lui osservandomi attraverso lo specchio.
«Lo so.» dissi.
«Miranda...
possiamo parlare, per favore?» chiese fissandomi direttamente,
«Anche uno di questi giorni.»
No, non ci penso
proprio.
«Sì.» risposi.
«Ti faccio sapere io.» dissi e uscii dal bagno. Fuggire era quello
che mi riusciva meglio, quando le cose diventavano troppo, io
scappavo.
Ritornai
nell'enorme sala e lo stomaco mi si chiuse nel vedere tutta quella
gente. Mi aggrappai al braccio del mio fidanzato come se da quel
gesto potesse dipendere la mia intera esistenza. Lui mi sorrise e mi
posò un braccio sulle spalle, attirandomi a sé, stringendomi come
se fossi di sua proprietà. Un attimo dopo capii il perché: il mio
vecchio amico era appena uscito dal bagno.
Ci osservò per
qualche istante, sorpreso, poi distolse lo sguardo e si allontanò.
Solo quando sparì dalla nostra vista il mio ragazzo allentò la
stretta. Miranda è così, facci l'abitudine, mi dissi mentre
afferravo un bicchiere di vino bianco, quei due non andranno mai
d'accordo. Mai, mai e ancora mai.
Non potranno mai
essere nella tua vita contemporaneamente. Dovrai scegliere, Miranda.
Ma io non volevo
scegliere, volevo solo nascondermi.
***
Erano passati tre
giorni dal funerale e io ero fuggita dalla casa dei miei genitori —
nel quartiere South Boston — ed ero andata in spiaggia, ben
lontana casa. Se qualcun altro avesse provato a chiedermi come stavo
o cosa provassi, avrei potuto prenderlo a sberle.
Ma lì, davanti
all'oceano, nessuno mi poteva disturbare. Così credevo.
Il mio ragazzo da
quasi sei anni, anche se fra alti e bassi, mi raggiunse e si sedette
accanto a me. «Sapevo di trovarti qui.» esclamò puntando i suoi
occhi nei miei. «Ti ho cercato ovunque.» disse.
Non replicai e
tornai a guardare le onde che, placide, si infrangevano sulla riva.
«Miranda...»
soffiò lui prendendomi le mani e obbligandomi a guardarlo,
«Sposiamoci.» disse.
Lo fissai ed ebbi
voglia di dargli una sberla. Come poteva farmi una domanda del
genere, in quel momento, dopo quello che era successo? Non risposi e
tornai a guardare la spiaggia.
«Miranda...»
Non lo guardai.
«Miranda...»
Ancora nulla.
«Averlo rivisto
ti ha fatto male, lo sapevo.» mugugnò, «Miranda,» esclamò dopo
un sospiro «rispondimi.» disse.
Mi morsicai le
labbra, perché nessuno capisce quando voglio stare sola? Mi state
tutti troppo addosso.
«Sei ancora
innamorata di lui?» domandò fissandomi, gli occhi socchiusi, che
mi guardavano e scrutavano. Smetti di guardarmi così, ti prego.
Non posso, non posso, non posso. «Perché è logico che lui non
sia solo un amico.» disse. Non risposi.
«Miranda...»
Rimasi zitta.
Lui mi guardò
un'ultima volta, sospirò e se e andò.
Non feci nulla,
tornai a guardare l'oceano.
Rimasi sola per
una manciata di minuti, poi lui mi trovò. Hai un GPS nel
reggiseno? pensai, ti trovano tutti.
Respirai a fondo e
volli scappare, fuggire, andarmene dove nessuno potesse trovarmi.
«Ciao.» soffiai.
«Sapevo di
trovarti qui.» disse lui sedendosi accanto a me. «Scappi sempre,
Miranda.» commentò con un mezzo sorriso.
«Voglio essere
lasciata in pace.» replicai abbracciandomi le ginocchia. «Mi stanno
tutti addosso e non ne posso più.»
«Sono preoccupati
per te.» sorrise lui, affondò la mano destra nella sabbia e la
sollevò, lasciando che i granelli dorati scivolassero dalle sue
dita.
«Non devono.»
replicai e lo guardai appena. Troppi ricordi, troppe cose, troppo
tutto.
«Dobbiamo
parlare.» disse lui.
«Non ora.»
sospirai. Lasciatemi in pace.
«Quando?»
Lo guardai e
sospirai, «Non lo so.»
«Io fra tre
settimane parto.» esclamò lui dopo qualche di silenzio
Lo guardai, «Dove
vai?» chiesi. Non te ne andare, non andartene, non lasciarmi
anche tu.
«Londra.»
rispose.
Londra.
«Ah.» commentai, «Perché?» chiesi. Non andare via, non andare
via.
«Mi hanno chiesto
di andare là per collaborare con una nuova boy band.» spiegò.
«Scriverò le loro canzoni.»
Annui.
«Complimenti.» dissi.
Lui abbozzò un
sorriso, «Quando ci vediamo, allora?» domandò.
Non risposi.
«Non hai
intenzione di farlo, vero?»
Ancora nulla.
«Non puoi fuggire
per sempre.»
Perché mi
lasciate tutti?
«Miranda.»
Non dissi nulla.
Se ne andò anche
lui.
Voglio andare
via.
Presto su Wattpad ed EFP!
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